Avevo capito che rinunciare a se stessi, non amarsi è come sbagliare a chiudere il primo bottone della camicia. Tutti gli altri poi sono sbagliati di conseguenza. Amarsi è l'unica certezza per riuscire ad amare davvero gli altri.
Fabio Volo dal libro "È una vita che ti aspetto"




martedì 31 gennaio 2017

Il vestito più bello

Ci ho messo tanto, prima di decidere se pubblicare questo mio scritto. Credo sia arrivato il momento di condividerlo. Le cose che si liberano nell'aria diventano leggere. Grazie a chi cercherà di capire, senza giudicare. Vi voglio bene. 
"Brrr...che freddo in questa stanza. E questo odore? Ti si appiccica addosso come fosse melassa di muffa e trementina. Mi manca l’aria. Fiori...Fiori ovunque. Acqua giallognola in vasi improponibili.
Sono seduta in terra, la testa fra le mani, le gambe incrociate. Ho un foulard in mano. Sintetico. Un colore anonimo, che passa inosservato e sta bene su tutto. Era tuo, mamma. E’ come sei tu.
Davanti al tuo armadio aperto sono in imbarazzo. Sono frustrata. Non sei mai stata bella. Mi vergognavo di te, a scuola. Guardavo le altre mamme, truccate, colorate come ciliege mature in un cesto. Sempre con qualcosa da dire, con un gesto da dare, un sorriso, un bacio. Tu non avevi niente per me. Niente per nessuno. Nemmeno per te stessa. Sempre con quel cappotto grigio. Quei mocassini consumati. Il grembiule sporco di sugo sopra maglioncini raccattati chissà dove.
Facevi la sarta. Dalle tue mani uscivano vestiti preziosi, leggeri e colorati come farfalle. Quando li vedevi indossare, alle signore benestanti che te li commissionavano, ti brillavano gli occhi. Sparivano d’incanto le rughe dalla fronte. La bocca di mandorla amara si schiudeva in quello che sembrava un tremulo sorriso. Non c’era più traccia delle notte passate in cucina, rannicchiata sulla sedia vicino al frigor con l’ago in mano e il metro da sarta attorno al collo.
Come ti odiavo!
Sono scappata via da te molto presto. Avevo paura che la tua tristezza mi si incollasse addosso, come l’etichetta di una tintoria. Mi ripetevo che volevo essere diversa. E ora sono qui. In questa casa che, per anni, ho voluto dimenticare. Di fronte al tuo armadio aperto. Tu sei sdraiata, immobile. Stranamente ferma. Hai gli occhi chiusi.
Devo pernsare a cosa metterti, a come vestirti. Cosa ti metteresti tu? Qualcosa di sobrio, sicuramente. Guarda...questo è il vestito a fiori che ti aveva regalato papà prima di lasciarti. Prima di scappare con tua sorella. Lo odiavi... no...non papà...il vestito! Troppo sgargiante, troppo da puttana. Qualche volta, di nascosto, lo indossavi davanti allo specchio. Ti carezzavi i fianchi, guardavi la scollatura, tiravi indentro la pancia. Qualche passo di danza, baci al vuoto. Poi lo riponevi vinta e sfiduciata. Era troppo per te. Ancora oggi non ti sentiresti a tuo agio. Ecco...voglio metterti questo. Ti ricordi mamma? Una signora non aveva più voluto ritirare, adducendo un banale e sprezzante pretesto, il vestito che ti aveva ordinato. Con quei soldi avresti dovuto comprarti le scarpe nuove. Per la prima volta ti ho vista piangere e maledire tutto. Mi sono nascosta perchè non sapevo cosa fare. Avrei voluto abbracciarti, stringerti forte e dirti che non era grave, che le scarpe te le avrei comprate io. Non un paio ma dieci. Di tutti i colori e modelli. Ti avrei voluto far sorridere. E, invece, niente. Sono rimasta immobile ad annusare il tuo dolore. Il mio fallimento come figlia.
Oggi, mamma, le scarpe te le ho portate. Rosse, col tacco. Le più belle che ho trovato. Dove andrai devi fare girare le anime quando cammini. Ecco... profuma di buono. Ti starà benissimo questo vestito da sera, da diva,  con le scarpe rosse. La tua cliente non saprà mai cosa si è persa. Nè io e nemmeno tu lo sapremo mai.
Non c’è più tempo. Mamma, sei bellissima! Un bacio, prima di andare

Luciana Ferri - non copiatelo senza citarmi come autrice- grazie